Il Rapporto italiani nel mondo
L’Italia non è ancora riuscita a trovare una soluzione efficacie per arginare concretamente la grande emorragia di giovani che, anno dopo anno, decidono di portare il proprio personalissimo bagaglio di professionalità e di competenze al di fuori dei confini nazionali. Al contrario, i mover, ovvero quei cittadini in piena età lavorativa che decidono di trasferirsi in uno stato diverso da quello di origine, sono in continua crescita, e contribuiscono ad alimentare l’ormai comunemente nota fuga di cervelli. L’emergenza sanitaria legata alla diffusione della pandemia da Covid-19, tuttavia, ha frenato leggermente la portata di tale fenomeno, diminuito di circa l’8% nel corso del 2020, ancora insufficiente per poter parlare seriamente di inversione di rotta. Secondo il “Rapporto italiani nel mondo 2019”, gestito dalla Fondazione Migrantes, infatti, nel decennio compreso tra il 2008 e il 2018, “il numero di espatri si è quasi triplicato passando da oltre 39 mila nel 2008 a circa 117 mila nel 2018” *, con un incremento pari a +195%. Come se ciò non bastasse, il cospicuo flusso di forza lavoro in uscita non è controbilanciato da un equivalente flusso di lavoratori specializzati provenienti dai paesi esteri in entrata.
I risvolti sociali ed economici
Il saldo, pertanto, non può che essere di segno negativo. Circostanza quest’ultima che deve destare forte preoccupazione, in quanto causa potenziale di un lento ma inesorabile declino economico e di un progressivo impoverimento culturale. Senza tralasciare le ingenti ripercussioni ravvisabili sul versante dell’innovazione e dell’imprenditorialità. L’aspetto più drammatico rimane certamente quello di perdere, o per meglio dire di sprecare, il capitale intellettuale di migliaia di persone, formatesi nel corso degli anni nel paese di origine ma le cui innovazioni vanno a beneficio esclusivo degli stati in cui le stesse vengono effettivamente portate a termine. A lungo andare, i tagli alla ricerca e all’istruzione potrebbero accentuarsi notevolmente. Comunque, tra le destinazioni più popolari, l’Europa continua a rimanere la meta di gran lunga preferita, con Gran Bretagna, Germania e Francia ad accogliere la maggior parte degli italiani espatriati. Oltreoceano, invece, molte sono le persone che scelgono di provare a ricostruirsi una nuova vita in America, specialmente negli Stati Uniti, in Brasile o in Argentina.
Chi è ad andar via
Tracciare l’identikit delle persone che hanno deciso di lasciare l’Italia non è un compito semplice, date le molte variabili presenti in campo che possono influenzare, direttamente o indirettamente, la scelta. Tra queste, ad esempio, l’oggettiva difficoltà di entrare nel mercato del lavoro gioca sicuramente un ruolo determinante, così come il possesso di un titolo di studio, laurea compresa, che non sempre è in grado di assicurare impieghi conformi alle aspettative originariamente possedute, anche in termini di retribuzione. Spesso, invece, si tratta di motivazioni strettamente personali, come il desiderio di arricchire maggiormente il proprio curriculum o di fare una nuova esperienza di vita all’estero. Ma una delle cause che contribuisce ad acuire la fuga di cervelli, forse la più importante, va ricercata nella scarsità di investimenti che il nostro paese, fanalino di coda in Europa, destina alla ricerca e sviluppo, solamente l’1,39% del Prodotto Interno Lordo (PIL) contro una media europea pari al 2,7%.
Fonti:
https://www.migrantes.it/wp-content/uploads/sites/50/2019/10/Sintesi_RIM2019.pdf ;