La pausa…un diritto del lavoratore. Ma se durante i “famosi 10 minuti di pausa” il lavoratore si facesse male, si potrebbe parlare di infortunio? La questione è ancora aperta. Perché non includere questo caso almeno tra gli infortuni in itinere?
Premessa
La legge ad oggi ha definito due tipologie di infortunio: l’infortunio in itinere e l’infortunio sul luogo di lavoro.
Quest’ultimo, come dice la parola stessa, riguarda tutte le tipologie di danni fisici arrecati al dipendente sul luogo di lavoro.
L’infortunio in itinere, invece, viene definito ad oggi solo come l’insieme di tutti i danni che il dipendente può subire durante il tragitto casa-lavoro (e viceversa). Ma perché non poter estendere questa categoria anche ad altri casi?
Recente sentenza della Cassazione
Il dubbio è sorto di recente, in quanto un’impiegata della Procura di Firenze è caduta durante il tragitto dall’ufficio al bar durante la sua pausa consentita anche dal datore di lavoro.
La questione ha avuto largo seguito. La possibilità di considerare questa caduta come infortunio sul lavoro è stata riconosciuta sia dal giudice in primo grado sia dalla Corte d’Appello. Questa la giustificazione dalla Corte d’Appello di Firenze: “era stata autorizzata dal datore di lavoro, visto che era assente il servizio bar all’interno dell’ufficio”.
Sembrerebbe dunque che nessun dubbio potesse nascere in merito, dal momento che sia in primo sia in secondo grado era emersa la possibilità di considerare tale infortunio almeno come infortunio in itinere.
Nonostante questa decisione, l’INAIL ha voluto ripresentare la questione in Cassazione volendo dimostrare che la cosiddetta pausa-caffè, pur essendo un diritto, non è classificabile come un bisogno fisiologico tale da mantenere una connessione con l’attività lavorativa.
Sulla base di tali affermazioni, la Cassazione ha ribaltato completamente l’esito ottenuto nei due gradi precedenti. Queste le parole: “È da escludere l’indennizzabilità dell’infortunio subìto dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dall’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, poiché la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta a un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa e incidente”. Come la Suprema Corte è arrivata a questa conclusione ribaltando completamente i risultati ottenuti dalla dipendente nei due gradi precedenti? Secondo la Cassazione la richiesta di recarsi al bar per un caffè è una mera tolleranza espressa dal datore di lavoro per i propri dipendenti e non una prassi che potrebbe incidere in modo significativo sull’accordo tra le parti del rapporto di lavoro (lavoratore e datore di lavoro).
Che sia una soluzione giusta e soprattutto rispettosa dei diritti del lavoratore è ancora presto per dirlo. La sentenza è molto recente. Occorre verificare se vi saranno dei risvolti nel corso del tempo.
Note: