I numeri
L’Istituto nazionale di statistica ha lanciato un allarme che non può più essere ignorato: l’Italia è un paese che non fa più figli. Ormai da parecchi anni assistiamo attoniti a una diminuzione delle nascite senza precedenti che non accenna ad arrestarsi. A confermare tale tendenza negativa è un report stilato proprio dall’Istat e relativo all’anno 2020. In poco più di un decennio, infatti, si è passati da 577 mila nuovi nati a 404 mila, dato quest’ultimo registrato lo scorso dicembre. Le previsioni per il 2021, nonostante ciò, non sono certamente delle più rosee. Secondo le ultime valutazioni promosse da Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat dal 2019, “il 2021 si chiuderà entro un range di nascite tra 385 e 395 mila”. Numeri preoccupanti, che devono far riflettere e spingere a muoversi per tempo, poiché, con queste cifre, l’Italia rischia di ritrovarsi in futuro con una popolazione dimezzata, potenzialmente di circa 32 milioni di abitanti.
Un nuovo stile di vita
Le motivazioni alla base di questa inesorabile decrescita sono diverse e variegate. Sicuramente la crisi della natalità è influenzata dal cambiamento degli stili di vita e dai nuovi interessi individuali, i quali spingono gli individui a focalizzarsi maggiormente sulle prospettive di carriera piuttosto che sulla creazione di una famiglia, perlomeno secondo il modello tradizionalmente inteso. Ma ad incidere sono al contempo le condizioni di lavoro, spesso precarie o caratterizzate da poca flessibilità, la retribuzione non sempre sufficiente al sostentamento di due persone, figurarsi tre o più, e la mancanza di congedi parentali adeguati. Le conseguenze di questa situazione si riflettono inevitabilmente sul piano economico-sociale. Questo perché il calo demografico e il contestuale invecchiamento della popolazione mettono a rischio la tenuta del sistema pensionistico e contraggono la forza lavoro, rallentano l’innovazione e ostacolano l’attività imprenditoriale, in quanto si assottiglia l’approccio al rischio delle persone più in là con gli anni.
Maternità e lavoro
Si tratta, comunque, è opportuno ricordarlo, di un fenomeno che non riguarda solo ed esclusivamente l’Italia ma, bensì, gran parte dei paesi cosiddetti avanzati. Occorre pertanto intervenire in materia con misure incisive, non sterili, per riportare al centro del dibattito interno i temi della maternità e della genitorialità. La fiscalità di vantaggio, ad esempio, approntata tuttora da diversi governi e rappresentata per lo più da incentivi, bonus, detrazioni e assegni familiari costituisce sicuramente un utile strumento se indirizzata in maniera mirata e, soprattutto, equa. A questa, tuttavia, è necessario affiancare politiche di sostegno di lungo periodo, che siano in grado di rafforzare, da un lato, l’indipendenza economica dei giovani, e di favorire, dall’altro, la possibilità delle coppie di poter conciliare il lavoro con la scelta di mettere su famiglia, senza dover rinunciare, per forza di cose, all’una per far posto all’altra. Un cambio culturale necessario se si vuole provare, veramente, a invertire la rotta.
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