Il lavoro in turni, soprattutto quello in turni notturni, rappresenta una condizione di stress per l’organismo; una condizione che può avere ripercussioni negative sulla sfera biologica, lavorativa e sociale.
Nel corso degli anni il lavoro a turni notturni è diventato un aspetto fondamentale nell’organizzazione del lavoro, non solo per garantire i servizi sociali essenziali o per far fronte a specifiche esigenze produttive, come avviene nei settori chimico e siderurgico, ma anche al fine di garantire la competitività delle realtà economiche incrementandone la produttività.
Per lavoratore notturno si intende quel lavoratore che svolge almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero durante il periodo notturno, dove per periodo notturno si fa riferimento a un periodo di almeno sette ore consecutive comprendente l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Il lavoratore notturno è definito inoltre dai contratti collettivi di lavoro; in assenza di specifica disciplina, viene considerato lavoratore notturno chiunque svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno.
I rischi del turno notturno
È assodato tuttavia che il lavoro su turni notturni può essere fonte di stress per l’organismo e, in particolare, in relazione:
- all’efficienza lavorativa con conseguente aumento del rischio di commissione di errori ed infortuni;
- allo stato di salute: nelle persone che svolgono l’attività lavorativa durante il turno notturno si osservano disturbi del sonno e della funzione digestiva e, nel lungo periodo, patologie a livello gastrointestinale, neuropsichico e cardiovascolare con interferenze con la funzione riproduttiva femminile e possibile aumento del rischio di tumori;
- all’assetto biologico: lo sconvolgimento del ciclo sonno/veglia è in grado di indurre una significativa perturbazione dei normali ritmi delle funzioni biologiche determinando uno sconvolgimento delle condizioni psicofisiche del lavoratore;
- alla vita sociale, a causa delle difficoltà nel mantenere le normali interrelazioni con le persone e le conseguenti difficoltà nella gestione del rapporto di coppia, nella cura dei figli e dei rapporti sociali.
La maggior parte dei lavoratori, nel breve o lungo periodo, manifestano insoddisfazione, malessere, disturbi e malattie di varia entità e molti di loro sono costretti ad abbandonare il turno notturno.
Alcuni studi hanno rilevato la presenza di alcuni fattori in grado di determinare la maggiore o minore adattabilità della persona; è l’esempio dell’età: con l’aumentare di questa, sembra essere più difficile l’adattamento al turno notturno, probabilmente in relazione alle maggiori difficoltà nel prendere sonno durante le ore diurne e al più lento adattamento dei ritmi circadiani oltre i 40 anni.
Prevenire è meglio che curare
Tra le misure di prevenzione che si possono adottare al fine di ridurre i rischi legati al turno notturno vi sono:
- mantenere la durata del turno non superiore alle 6/8 ore;
- applicare un’elevata frequenza di rotazione dei turni in modo tale da ridurre la possibilità di alterare i ritmi circadiani del lavoratore;
- ridurre il numero di notti consecutive di turno notturno;
- garantire il maggior numero possibile di weekend liberi;
- evitare di aggiungere ore di straordinario al lavoro notturno;
- permettere ai lavoratori di effettuare pause in ambienti confortevoli che possano garantire anche la possibilità di micro-sonni (15/20 minuti);
- non iniziare troppo presto il turno del mattino, posticipandolo alle 7.00, in modo da non turbare la fase REM;
- garantire cicli di turnazione regolari e programmati in modo da facilitare la vita sociale del lavoratore;
- formare ed informare i lavoratori in merito ai rischi legati al turno notturno.