Lo smisurato ricorso alla consultazione popolare a cui stiamo assistendo di recente rischia di monopolizzare il dibattito pubblico, sia per i temi eticamente sensibili trattati, sia perché inevitabilmente travolge e, allo stesso tempo, inchioda la politica e i partiti dinanzi alle proprie responsabilità.
Le campagne in corso
È scattata, infatti, una vera e propria corsa ai referendum, lo strumento per eccellenza di esercizio della sovranità popolare. Le campagne referendarie più significative tuttora in corso, alcune delle quali hanno già raggiunto il tetto minimo delle 500.000 mila firme richieste espressamente dall’articolo 75 della Costituzione per il deposito dei quesiti in Cassazione, sono almeno cinque. Si va dai quesiti referendari in tema di giustizia al referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia, dal referendum per la cannabis legale – il cui obiettivo è stato raggiunto in tempi sorprendenti – a quello per l’abolizione della caccia. Da ultimo, alle iniziative soprarichiamate se n’è aggiunta un’altra, partita da pochi giorni, ovvero la campagna referendaria contro l’introduzione del green pass. A facilitare, e di parecchio, la partecipazione popolare è stata la modalità di certo innovativa con cui sono state raccolte le firme, ma che d’altra parte sta alimentando preoccupazione tra i costituzionalisti, prudenti sull’uso di possibili scorciatoie.
La firma digitale e le possibili insidie
Parliamo della facoltà di aderire tramite firma digitale, novità introdotta in sede di conversione del decreto Semplificazioni. Niente più gazebi, banchi e moduli da compilare, quindi. Per fornire il proprio contributo sarà sufficiente essere in possesso dell’identità digitale (SPID) o, in alternativa, della carta d’identità elettronica, e accedere all’apposito portale. A chi considera quanto sta accadendo rivoluzionario o, come qualcuno suggerisce, precursore di una sorta di democrazia digitale, si contrappone, come ricordavamo pocanzi, chi ci va cauto. I timori sono molteplici. L’aumento incontrollato del ricorso a tale strumento, ad esempio, rischierebbe quasi di svuotarlo di significato relegandolo, piuttosto, a mero sondaggio. Vi sono poi le insidie malcelate dietro la rete, che non è possibile trascurare. E vi è, infine, un aspetto importante da tenere bene in mente. Chi, oggi, utilizza la firma digitale dovrà, a tempo debito, recarsi personalmente alle urne per rinnovare la propria preferenza.
Alcune proposte di modifica
Non manca, poi, chi non perde occasione per sottolineare che il limite delle 500.000 firme poteva andare bene nel lontano 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione, periodo in cui la popolazione nazionale era di gran lunga inferiore e non poteva contare, ovviamente, sulla tecnologia di cui oggi disponiamo. Eppure, i tentativi di superare tale scoglio non sono mancati e, d’altronde, non mancano nemmeno oggi. La proposta attualmente sul tavolo, infatti, è quella di innalzare la soglia fino a rendere necessario il raggiungimento delle 800.000 firme. Un’altra proposta, congrua con la prima, propone di anticipare la fase di validazione del quesito, in modo da evitare che centinaia di migliaia di persone partecipino a una campagna referendaria già morta sul nascere. Chi si mostra scettico al riguardo, in definitiva, lo fa per un semplice motivo: evitare che si arrivi a una forma incompiuta di democrazia basata esclusivamente sui sì e sui no.
Fonti: