Il dolo dietro le fiamme
Torna l’estate e, con essa, puntuali, tornano gli incendi boschivi. Sempre più frequenti. Sempre più pericolosi e difficili da domare. Di recente, ad andare in fiamme sono state la Sardegna, con più di ventimila ettari di terreno andati bruciati, e la Sicilia, per la quale il governo ha dichiarato lo stato di mobilitazione nazionale del sistema della Protezione Civile.
A preoccupare maggiormente è soprattutto un dato. Se si lasciano fuori da questa trattazione gli incendi di origine naturale, ovvero causati prevalentemente da fenomeni temporaleschi, siccità o temperature elevate, e quelli scaturiti involontariamente da comportamenti negligenti o imprudenti dell’uomo, emerge chiaramente come la maggior parte di essi viene appiccato in maniera intenzionale. Secondo il rapporto dell’EFFIS, il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi*, infatti, almeno nel 57% dei casi le fiamme sarebbero state provocate da azioni dolose.
Le principali cause degli incendi boschivi
Individuare le ragioni poste alla base di simili condotte è un compito piuttosto complesso. Alcune di esse, però, sono più riconoscibili rispetto ad altre. Innanzitutto, alcuni incendi vengono appiccati a opera di pastori con il fine ultimo di rinnovare i pascoli in modo da favorire, così facendo, la rapida ricrescita dell’erba da destinare al foraggio. Altri, invece, sono direttamente ricollegabili ad attività di bracconaggio e al tentativo di estendere l’area da poter sfruttare per la coltivazione. A questi si uniscono, poi, gli incendi frutto di attività speculative, riscontrabili non solo nel settore edile ma, come sottolineato con forza dalla Commissione regionale antimafia siciliana, anche nel nuovo, potenzialmente redditizio affaire del fotovoltaico. Da ultimo, possiamo citare sia gli incendi provocati da calcoli e regolazioni di conti, liti tra privati che finiscono per degenerare, spesso, nella commissione di delitti, sia quelli legati al fenomeno della piromania.
La (in)certezza della pena
Allo stesso modo, è particolarmente complesso risalire all’identificazione dei responsabili materiali, i quali, salvo le ipotesi di flagranza, rimangono coperti da un velo di impunità. Basti pensare alla circostanza secondo la quale, propagandosi, il fuoco non fa che contribuire, inevitabilmente, alla distruzione delle eventuali prove. D’altro canto, a poco o nulla è servita l’introduzione, con la Legge 275/2000, della fattispecie di reato dell’incendio boschivo, normata dall’articolo 423 bis del Codice penale. A tal proposito, infatti, un rapporto dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)**, pubblicato nel 2016, ha sottolineato come tre procedimenti penali per incendio boschivo su dieci finiscono con una pronuncia di archiviazione. Data l’incapacità deterrente dell’azione legislativa, pertanto, l’unica strada veramente percorribile sembra quella della prevenzione e, soprattutto, della sensibilizzazione collettiva.
Fonti: