Il rischio pandemico, che da ormai un anno ha portato tutto il mondo a cambiare il proprio stile di vita, ha avuto importanti ripercussioni anche nel mondo del lavoro. Il datore di lavoro, in poco tempo, si è trovato a dover riorganizzare la propria azienda per tutelare i propri dipendenti dalla possibile diffusione del Covid-19. Forse, senza neppure rendersene conto, la malattia da Sars-CoV2 è diventata un nuovo rischio aziendale?
Il rischio biologico e il Covid-19
Pur non essendo un pericolo immediatamente percepibile, è ormai consolidato che l’esposizione ad agenti di natura biologica è da considerare come uno dei rischi che può diffondersi in numerose realtà aziendali.
Ai sensi dell’art. 267 D. Lgs. 81/2008 il rischio di natura biologica è causato da “qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni”. Si tratta, dunque, di un rischio che nasce nel momento in cui l’organismo vivente entra a contatto con microrganismi (ad esempio virus, batteri, funghi).
Proprio per le caratteristiche così riportate dal D. Lgs. 81/2008 in materia di agenti biologici, sembrerebbe essere possibile includere la malattia da Sars-Cov-2 tra i rischi di natura biologica. Conferma di questo è la Direttiva dell’Unione Europea del 3 giugno 2020 n. 739 la quale al punto n. 4 sottolinea che “nell’ottobre 2019 la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione ha apportato una modifica all’allegato III della direttiva 2000/54/CE, che consiste in particolare nell’aggiunta di numerosi agenti biologici, tra cui il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (virus SARS) e il coronavirus della sindrome respiratoria medio-orientale (virus MERS).”
Più precisamente, il virus da Sars-CoV-2 viene attualmente annoverato tra i rischi biologici del gruppo n. 3 art. 268 D. Lgs. 81/2008. Viene quindi classificato come “agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori”.
Covid-19 e DVR
Dal momento in cui la maggior parte delle aziende, in conformità ai numerosi DPCM che si sono susseguiti nel corso dell’ultimo anno, hanno cercato di risolvere il problema del rischio pandemico incentivando lo smart-working, e il conseguente allontanamento dei dipendenti dall’azienda, l’avvento di questo nuovo rischio ha dato vita a un importante dubbio: il Covid-19 può essere annoverato tra i rischi a cui il datore di lavoro deve porre attenzione aggiornando, di conseguenza, il Documento di Valutazione dei Rischi?
Sul punto sono nate due correnti di pensiero.
Secondo un primo orientamento il datore di lavoro è tenuto a valutare solo i rischi specifici dell’organizzazione lavorativa, cioè i rischi endogeni. Il Coronavirus, dato che rientra tra i rischi sanitari che si possono diffondere in qualunque ambiente, sarebbe un rischio esogeno (esterno all’azienda). Secondo questa tesi, quindi, il datore di lavoro non dovrebbe assumere alcuna precisa accortezza in merito al virus. Quest’ultimo dovrebbe attenersi semplicemente a quanto già predisposto dalla Pubblica Amministrazione, senza ulteriori accorgimenti in merito.
Vi è però un orientamento ad esso completamente opposto che, col tempo, è risultato essere quello più seguito. Quest’ultimo, facendo leva sull’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti in conformità all’art. 2087 c.c., sostiene che il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure in grado di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, deducendone che questo vale anche per il rischio pandemico. A fronte dell’aumento esponenziale del rischio derivante dalla malattia virale da Covid-19, il datore di lavoro, secondo questa tesi, sarebbe tenuto a porre in essere tutte le misure necessarie in materia aggiornando, di conseguenza, il Documento di Valutazione dei Rischi. L’idea è dunque la seguente: il datore di lavoro è sì tenuto a conformarsi a quanto già previsto a monte dalla Pubblica Amministrazione, ma deve adottare ulteriori accorgimenti laddove sia necessario in ragione delle peculiarità della propria realtà aziendale.
Specchio della confusione che queste due correnti di pensiero hanno causato sono alcune scelte che le regioni hanno preso individualmente per cercare di ridurre il rischio pandemico*.
A favore del primo orientamento si è posta, ad esempio, la regione Veneto che, presentando indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari, ha dichiarato non necessario l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in ragione del Covid-19, se non in ambiente sanitario o socio-sanitario.
Il secondo orientamento, invece, ad oggi sembrerebbe essere seguito dall’Emilia-Romagna la quale, emanando due ordinanze, indirizzate rispettivamente alle province di Piacenza e Rimini, prevede che le aziende la cui attività lavorativa non è sospesa devono aggiornare il loro Documento di Valutazione dei Rischi dedicando una sezione al virus da Sars-CoV-2 e delineando tutte le opportune accortezze in merito.