Nel corso delle ultime settimane la molteplicità delle informazioni provenienti da enti e istituzioni diverse ha creato non poche difficoltà per le aziende che si sono ritrovate a dover riaprire le porte ai propri lavoratori e non solo.
In questo articolo cerchiamo di raccogliere e riassumere le risposte ai principali dubbi e domande che in questi giorni si stanno ponendo migliaia di Datori di lavoro.
Posso rilevare la temperatura corporea all’ingresso della mia azienda?
Sì, la rilevazione della temperatura corporea è una facoltà del Datore di lavoro (attualmente non un obbligo, ad eccezione dei cantieri e, ai sensi della nuova Ordinanza 546 del 13/05/2020, delle aziende che hanno sede in Lombardia). Chiaramente, trattandosi a tutti gli effetti di trattamento di dati personali cosiddetti particolari (dati atti a rivelare lo stato di salute di una persona), nella raccolta, registrazione, comunicazione e gestione dei dati deve essere rispettato il Reg. (UE) 679/16 – GDPR. A tal proposito, il Garante della Privacy ha, difatti, recentemente emesso delle FAQ dalle quali si evince la necessità di porre particolare attenzione al trattamento di tali dati, bilanciando la necessità di tutela della salute con la protezione dei dati.
Cosa succede se un lavoratore presenta sintomi durante il turno di lavoro?
Se all’ingresso in azienda viene rilevata una temperatura corporea pari o superiore a 37.5° C il lavoratore non potrà avere accesso all’edificio; nel caso in cui i sintomi si rivelassero durante l’attività lavorativa, il lavoratore dovrà essere isolato; in entrambi i casi il lavoratore dovrà essere dotato di mascherina e non dovrà venire in contatto con altri lavoratori in attesa che possa essere organizzato il trasporto in sicurezza presso il proprio domicilio. Presso la propria abitazione il lavoratore contatterà telefonicamente il proprio medico e seguirà le sue indicazioni.
Nel caso in cui un lavoratore risulti affetto da Covid-19 (condizione accertata da tampone), cosa devo fare per permetterne il rientro in azienda?
Lo stato di guarigione viene certificato a seguito di due tamponi con esito negativo effettuati a distanza di 24 ore l’uno dall’altro, trascorsi 14 giorni dal momento in cui la persona non presenta più sintomi. Nel caso in cui i due tamponi risultino effettivamente ad esito negativo, viene rilasciato al soggetto il certificato che attesta la guarigione. Solo in possesso di tale certificato il lavoratore può riprendere l’attività lavorativa. Nel caso in cui l’assenza abbia superato i 60 giorni, prima del rientro, il lavoratore dovrà essere sottoposto a visita da parte del Medico Competente.
Un mio lavoratore è stato assente per malattia con sintomi afferibili a quelli del Covid-19 ma non è mai stato sottoposto a tampone né è stato effettuato alcun accesso alle strutture sanitarie. Quando e come può rientrare al lavoro?
In assenza di diagnosi positiva al tampone, i lavoratori non vengono seguiti dall’ATS o ASL ma dal proprio medico curante, il quale rilascia il certificato di malattia per l’INPS. E’ dunque il medico curante che attesta la guarigione del lavoratore sulla base della risoluzione dei sintomi clinici presentati. Poiché l’emissione del virus si riduce con il passare dei giorni dal termine della sintomatologia presentata, si suggerisce di adottare per quanto possibile tutte le misure di prevenzione indicate dalla relativa normativa in vigore, tra cui lo svolgimento delle attività che possono essere svolte presso il proprio domicilio in modalità di lavoro agile, l’incentivazione di ferie, congedi retribuiti nonché quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Come gestisco i rifiuti come mascherine, guanti, etc. utilizzati dai miei lavoratori per il controllo della diffusione del virus?
Dipende da diversi fattori, come ad esempio l’ambito lavorativo, la presenza o meno di casi accertati di Covid-19 o la sussistenza di ordinanze regionali. In ambito sanitario, come ospedali, RSA, studi medici, etc. tali rifiuti devono essere gestiti in qualità di rifiuti pericolosi a carattere infettivo in accordo al D.P.R. 254 del 15 luglio 2003, classificandoli con codice CER 18.01.03* – rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni. In aziende che non operano in ambito sanitario, nel caso in cui vi siano casi accertati di Covid-19, ai sensi dell’art. 15 del suddetto D.P.R., tali rifiuti devono essere gestiti esattamente secondo quanto sopra indicato, identificandoli come rifiuti pericolosi a carattere infettivo. Nel caso in cui, invece, non vi siano casi accertati Covid-19, al momento in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, in accordo a ordinanze contingibili e urgenti recentemente emanate, tali rifiuti possono essere assimilati agli urbani e conferiti nella raccolta differenziata a gestione del servizio pubblico di raccolta; nelle altre Regioni o ove la raccolta da parte del gestore pubblico non venga effettuata, è possibile classificare tali rifiuti con codice CER 15.02.03 – rifiuti da indumenti protettivi oppure, adottando il massimo principio di cautela, classificare comunque tali rifiuti con codice CER 18.01.03* identificandoli come rifiuti potenzialmente infetti.
Nel caso in cui un lavoratore si ammala, posso comunicarlo agli altri lavoratori?
No, secondo quanto indicato dal Garante della Privacy non è possibile, da parte del Datore di lavoro, rivelare l’identità dei lavoratori affetti da Covid-19 agli altri lavoratori. Tale incarico spetta alle Autorità Sanitarie competenti che provvederanno ad informare i “contatti stretti” e ad attivare le necessarie misure. Il Datore di lavoro deve, invece, collaborare e fornire tutte le necessarie informazioni alle Autorità Sanitarie competenti proprio al fine di individuare i “contatti stretti” del lavoratore risultato positivo affinché esse possano assolvere ai compiti previsti dalla normativa d’urgenza in vigore.
Se non trovo mascherine marcate CE, posso utilizzare quelle non marcate CE?
Nel caso in cui vi sia l’oggettiva difficoltà nel reperire mascherine prive di marcatura CE, possono essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni d’uso, ciò al solo scopo di evitare la diffusione del Covid-19. Difatti, il Decreto Legge 17 marzo 2020 , n. 18 all’articolo 16 (Ulteriori misure di protezione a favore dei lavoratori e della collettività) definisce che, “per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall’articolo 34, comma3,
del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9.” e che “fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull’intero territorio
nazionale sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.”
La mia azienda è stata chiusa per diverse settimane. Devo comunque procedere alla sanificazione prima della riapertura?
In base alle informazioni ad oggi disponibili, i virus SARS-CoV-2 sono in grado di persistere sulle superfici inanimate fino ad un massimo di 9 giorni in relazione ad alcuni fattori come la concentrazione, l’umidità, la temperatura, etc. Se dunque, l’azienda è stata chiusa e non frequentata per più di 9 giorni si ritiene sufficiente provvedere ad un’adeguata pulizia con le modalità indicate all’interno del Rapporto ISS Covid-19 n. 5/2020 e specifiche della “pulizia quotidiana”.
Fonti: “Risposte alle domande più frequenti pervenute al servizio PSAL” del 07/04/2020 – SSS Regione Lombardia ATS Bergamo; “FAQ Covid-19 e protezione dei dati personali – Trattamento dei dati nel contesto lavorativo pubblico e privato e nell’ambito dell’emergenza sanitaria” – Garante per la Protezione dei Dati Personali”.