Il convivente non può essere collaboratore e/o coadiuvante familiare ai fini previdenziali.
Non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado, rispetto al titolare dell’impresa, infatti, non è tenuto all’obbligo contributivo all’Inps.
Lo precisa l’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota 879/2023, rispondendo a un quesito dell’ispettorato territoriale di Cosenza.
Tuttavia, la precisazione potrebbe avere le ore contate: si attende, infatti, che la pronuncia della corte di cassazione sull’equiparazione del convivente more uxorio a parenti o affini.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ricorda che, in merito alla disciplina dell’impresa familiare, solo nel caso delle unioni civili c’è stata la completa equiparazione dei partner al coniuge, con tutti i conseguenti diritti e obblighi di natura fiscale e anche previdenziale. Tali obblighi e tali diritti, invece, sono esclusi nel caso di convivenze.
Tuttavia, aggiunge l’INL, va rilevato come le possibili aperture circa l’assimilabilità “in chiave analogica, della posizione del convivente a quella del familiare, sia desumibile da un orientamento espresso di recente dalle sezioni unite penali della cassazione (sentenza 10381/2021)”.
Tanto che la stessa corte, con ordinanza 2121 del 24 gennaio 2023, ha ritenuto necessaria la rimessione della questione alle sezioni unite civili: “se l’art. 203-bis, come 3, del codice civile possa essere evolutivamente interpretato (…), nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità …”. In attesa di conoscere la decisione, l’INL conferma le istruzioni dell’Inps vigenti.
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