I nostri jeans sono realizzati in denim, uno tra i tessuti meno sostenibili che ci siano. Attraverso un acquisto consapevole e alcuni accorgimenti nelle fasi di lavaggio, possiamo ridurre l’impatto generato sull’ambiente dai pantaloni più famosi e amati del mondo.
Attenzione alla provenienza
Il considerevole impatto della produzione di denim sull’ambiente è determinato dalle elevate quantità di risorse richieste in termini di acqua, energia e agenti chimici.
Le principali problematiche sono legate al luogo in cui il denim viene prodotto, oltre che ai materiali e alle tecnologie utilizzate. Per questo è importante chiedersi, prima di acquistare un paio di jeans, dove è stato realizzato, come è stato prodotto e quanto costa. Il 76% del denim a livello globale viene prodotto in Cina, Turchia, Pakistan, Bangladesh e India, Paesi che nel 2020 hanno ricevuto il peggior rating possibile di sostenibilità. L’Italia, invece, ha ricevuto il miglior risultato. Comprare quindi made in Italy è già di per sé una garanzia. Senza contare che minore è la distanza che un prodotto compie, minore sarà la sua carbon footprint.
Un altro parametro da tenere in considerazione è il costo: considerato che il costo di un paio di jeans è determinato dal prezzo del tessuto (il prezzo medio del quantitativo di tessuto per produrre un paio di jeans è di 5 euro), dal lavaggio, dalle rifiniture e dal packaging, è chiaro quanto poco siano stati retribuiti i lavoratori che hanno realizzato un paio di pantaloni da 20 euro.
Il denim è una fibra di cotone colorata con l’indaco e successivamente trattata per sottrazione di colore attraverso i lavaggi. Una scelta consapevole può essere effettuata ricercando nell’etichetta certificazioni come la GOTS (Global Organic Textile Standards) che attesta l’uso di cotone organico o la GRS (Global Recycle Standards) che indica la presenza di cotone riciclato.
Fine vita a basso impatto
In un anno vengono realizzati circa 1,25 miliardi di pantaloni per un corrispettivo di 70 miliardi di dollari. È importante quindi chiedersi dove vadano a finire tutti questi jeans a fine vita e quale sia il loro impatto sull’ambiente.
Nel Parco del Ticino ha sede un’azienda che nel 2019 ha lanciato il primo paio di jeans 100% biobased al mondo, realizzato con elementi naturali e completamente biodegradabile e compostabile. Di necessità virtù, in quanto la trasformazione a riserva naturale del territorio su cui sorge l’azienda ha richiesto una riprogettazione della linea produttiva per evitare di dover trasferire la sede altrove.
Il problema nella realizzazione di pantaloni “green” non è tanto legato al tessuto, in quanto il cotone è in grado di biodegradarsi in breve tempo, quanto piuttosto al filo elastico che, invece, impiega fino a 200 anni per decomporsi. Da qui l’idea dell’azienda di sviluppare un elastomero naturale completamente biodegradabile. Anche le cuciture sono realizzate in filato misto di tencel e cotone. Di fatto a questi pantaloni basta togliere i bottoni, che possono essere recuperati e riutilizzati, per poterli conferire con la raccolta dell’umido.
La sostenibilità di un prodotto è legata non solo alle modalità di smaltimento, ma anche e soprattutto alla possibilità di recupero. In Normandia ha sede il più grande magazzino di jeans dismessi. Sempre più aziende si occupano di upcycling, producendo nuovi capi a partire da scampoli di tessuto già esistenti. Il segreto è selezionare tessuti già di per sé non troppo usurati in modo da non dover successivamente intervenire con lavaggi o altri processi più o meno impattanti.
Tra le certificazioni che possono darci indicazione in merito al ridotto impatto dei nostri jeans vi sono, ad esempio, come sopra indicato, GOT e GRS che ci danno informazioni sul tipo di fibra, la ISO 14001 che certifica la gestione sostenibile dei processi (che, però, si basa sulla legislazione vigente nel Paese di produzione) o, ancora, la Certificazione Cradle to cradle (dalla culla alla culla) rilasciata da un’Organizzazione no profit che tiene in considerazione l’intero processo produttivo.
Non dimentichiamo che una componente rilevante dell’impatto ambientale generato dai jeans è rappresentata dai lavaggi domestici; meno laviamo i nostri pantaloni e meglio è, sia per l’ambiente, sia per il tessuto stesso, caratterizzato da sfumature naturali che si formano con l’usura e che tendono a scomparire con i frequenti lavaggi. Un’alternativa alla lavatrice è girarli dentro-fuori e lavarli in una bacinella con poca acqua, qualche goccia di ammorbidente e un po’ d’aceto.
Fonte: Lifegate – “Moda sostenibile, mini guida all’acquisto consapevole di denim”