Una storica prima volta
L’istituzione del Ministero della Transizione Ecologica, la partecipazione ad accordi internazionali o le dichiarazioni pubbliche rilasciate in tema di emergenza climatica da rappresentanti istituzionali non sono serviti a evitare allo Stato italiano una prima, storica citazione in giudizio per inazione climatica. Tutto ha avuto inizio quando, nel 2019, l’Associazione “A Sud”, attiva da tempo nel campo della giustizia ambientale, decide di lanciare una campagna denominata Giudizio Universale, la quale, fin dal primo momento, riscuote una notevole adesione. A distanza di altri due anni, nel giugno del 2021, data in cui la causa viene ufficialmente depositata presso il Tribunale civile di Roma, il fronte dell’accusa, supportato da un team di legali formato da avvocati, giuristi e docenti universitari, risulta composto da 203 ricorrenti, suddivisi in 179 cittadini, tra cui 17 minori, e in 24 associazioni ambientaliste sparse lungo tutta la penisola. L’impianto argomentativo ruota attorno ad una semplice considerazione: lo Stato italiano avrebbe adottato misure insufficienti per contrastare le emissioni e l’aumento della temperatura media globale, disattendendo quindi quanto pattuito con gli Accordi di Parigi del 2015. La prima udienza, tenutasi in forma telematica, ha avuto luogo il 14 dicembre scorso.
Il diritto a un clima stabile e sicuro
Insufficienza delle misure adottate che sarebbe corroborata dal rapporto “Obiettivi e politiche climatiche dell’Italia in conformità all’Accordo di Parigi e alle valutazioni di Equity globale”, pubblicato nel marzo di quest’anno dalla Climate Analytics, un’organizzazione non governativa con sede a Berlino. Dal rapporto, infatti, emerge chiaramente come l’Italia, fissando un target climatico al ribasso, sia lontana “dal dare un giusto contributo alla riduzione delle emissioni necessaria entro il 2030 […]”*. Ed è proprio da circostanze come questa che prendono vita le istanze dei ricorrenti, i quali, intentando una causa dal valore non affatto simbolico, mirano a raggiungere un duplice scopo, affinché venga rispettato il diritto a un clima stabile e sicuro. In primo luogo, accertare la responsabilità dello Stato italiano, reo di essersi reso inadempiente nella lotta al cambiamento climatico, nonostante le più avanzate acquisizioni scientifiche a disposizione. In secondo luogo, obbligare lo Stato italiano, tramite un apposito provvedimento giurisdizionale, ad abbassare le emissioni di gas a effetto serra del 92% rispetto ai livelli registrati trent’anni fa.
Il Caso Olanda contro Urgenda
Giudizio Universale è solamente la prima climate litigation portata avanti nel nostro Paese. Nella restante parte del mondo, invece, le azioni giudiziarie legate all’inazione della politica in materia climatica sono maggiormente diffuse, alcune delle quali particolarmente significative. Ad esempio, sicuramente degna di nota è la sentenza emessa dalla Corte suprema olandese sul caso Olanda contro l’associazione ambientalista Urgenda. Attraverso tale pronuncia, i giudici invitarono il governo olandese a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas serra almeno del 25% rispetto ai livelli registrati nel 1990, addirittura del 40% entro il 2030, pena la conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), i quali tutelano rispettivamente il diritto alla vita e alla protezione della salute di ogni persona. Gli effetti del pronunciamento non si fecero attendere, ma arrivarono anche in anticipo. Il governo olandese, infatti, decise di intervenire tempestivamente applicando una tassazione maggiore alle imprese inquinanti, incentivando la conversione energetica e vietando la costruzione di nuove centrali a carbone.
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