Adesso è ufficiale. Da qualche giorno a questa parte sono scattate le tanto paventate procedure di sospensione nei confronti dei professionisti della sanità, rei di non aver aderito alla campagna di vaccinazione attualmente in corso, disattendendo così all’obbligo imposto loro lo scorso primo di aprile dal Decreto Legge 44/2021, convertito in legge alla fine di maggio.
Di cosa si tratta
Più nel dettaglio, il contenuto di tale prescrizione, che rimarrà comunque valida non oltre il 31 dicembre di quest’anno, è rinvenibile all’articolo quattro del sopracitato decreto, il quale, si legge espressamente dal testo, impone che vengano sottoposti alla somministrazione del vaccino contro il coronavirus gli “esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”. Si tratta, pertanto, di un vincolo tout court, un requisito indispensabile per poter proseguire nello svolgimento della prestazione lavorativa, motivato in estrema sintesi dalla necessità di tutelare la salute pubblica. Il suo mancato assolvimento, difatti, comporta una serie di conseguenze sotto il profilo strettamente professionale, fermo restando, in ogni caso, il rifiuto giustificato da accertati pericoli per la salute, comprovati da specifiche condizioni cliniche.
Dal demansionamento fino alla sospensione
L’iter che porta alla sospensione temporanea è intervallato da alcuni passaggi intermedi. Innanzitutto, il compito di rintracciare coloro i quali si sono sottratti all’obbligo spetta alle Aziende Sanitarie Locali (ASL) delle varie regioni, le quali dovranno informare tempestivamente il soggetto interessato, il datore di lavoro e gli Ordini professionali affinché possano agire di conseguenza. Dopodiché, si aprono diversi scenari. In primo luogo, la legge stabilisce che, ove possibile, il professionista sanitario venga adibito allo svolgimento di mansioni diverse, anche inferiori, rispetto a quelle svolte fino a quel momento, purché non prevedano contatti interpersonali o operazioni a rischio contagio. In alternativa, qualora non sia possibile individuare impieghi non a rischio, è possibile optare per la scelta di imporre le ferie forzate, chiaramente retribuite. In ultima istanza, infine, se nessun’altra strada risulta essere percorribile, si procede alla sospensione dell’operatore sanitario senza diritto alla retribuzione, provvedimento impugnabile dal destinatario in sede amministrativa entro il termine di 60 giorni dall’avvenuta notifica. La disposizione di legge non contempla, invece, la possibilità di ricorrere al licenziamento.
I numeri, circoscritti, del fenomeno
Secondo gli ultimi dati emersi dal report settimanale pubblicato dalla struttura commissariale per l’emergenza, gli operatori sanitari ancora in attesa di ricevere le dosi – o la dose unica – di vaccino rappresenterebbero comunque una percentuale relativamente bassa. Se ne contano, infatti, poco più di 45mila su un totale di quasi due milioni di operatori, ovvero il 2,6% degli appartenenti alla categoria, di cui solo lo 0,2% sarebbero medici. A livello regionale, le percentuali più elevate di rifiuto sul totale degli operatori sanitari si sono registrate in Friuli Venezia Giulia (11,91%,), Emilia Romagna (7,8%) e Sicilia (6,52%).
Fonti:
– https://www.ilsole24ore.com/art/vaccini-nove-regioni-conta-sanitari-no-vax-AE0nDQS ;
– https://tg24.sky.it/cronaca/2021/06/22/covid-vaccini-operatori-sanitari-dati#03 ;
– https://www.agi.it/cronaca/news/2021-06-24/caso-medici-infermieri-non-vaccinati-13041163/