Libri, film, televisione, il “palazzo della memoria” è un concetto mnemonico che spesso viene citato nei contesti più disparati. Ma quali sono le origini, le potenzialità ed i limiti di questa tecnica di memorizzazione?
Tra storia e leggenda
La sua origine è da ricercarsi nell’antica Grecia, intorno all’anno 550 a.C. Tradizionalmente, la nascita del “palazzo della memoria” viene associata ad un evento tragico, ovvero il crollo di un palazzo avvenuto durante lo svolgimento di un banchetto. Tra i pochi superstiti si annovera il poeta liturgico Simonide di Ceo che, grazie al fatto che ricordasse i posti a sedere occupati dai commensali, permise il riconoscimento di chi era perito sotto le macerie.
Per questo motivo, il “palazzo della memoria” viene inizialmente identificato come tecnica dei loci (locus, luogo).
Il principio
La tecnica si basa sul potente coinvolgimento della vista nel processo di memorizzazione; questo fatto si nota già nel Pleistocene, dove le informazioni importanti da memorizzare riguardavano luoghi, percorsi e l’ambiente che circondava l’uomo. Risulta chiaro, quindi, come la vista abbia ricoperto un ruolo fondamentale nel fissare questi dati.
Nonostante l’importante pressione evolutiva subìta da quel periodo in poi, tale aspetto non è cambiato ed è proprio su di esso che si basa la costruzione del “palazzo della memoria”. Innanzitutto, si parla di palazzo perché, tendenzialmente, si comincia visualizzando una stanza, meglio se a noi nota, come ad esempio la nostra camera da letto. Il principio è quello di fissare, con un percorso definito, i dati da ricordare in specifici loci, che possono essere rappresentati, ad esempio, dalla successione dei loci letto-comò-armadio-finestra.
Il questo modo, associando ad ogni locus una parte di un’informazione più ampia è possibile, attraversando il percorso nell’ordine definito, rievocare facilmente il dato complessivo che si voleva memorizzare.
È proprio in relazione a questa pratica che, ancora oggi, nei nostri discorsi usiamo dire “in primo luogo…, in secondo luogo…”.
Vantaggi e limiti
Andando a stimolare una funzione ancestrale quale quella della memoria visiva, il “palazzo della memoria” permette di ricordare molte informazioni con uno sforzo notevolmente inferiore rispetto alla loro memorizzazione “libera”, permettendo non solo di ottenere un migliore risultato sul breve periodo, ma anche una più lunga permanenza dei dati collocati nelle stanze costruite.
Nonostante questi notevoli vantaggi, non si creda che costruire un “palazzo della memoria” funzionale sia semplice!
Come tutte le attività di memorizzazione anche questa tecnica richiede impegno e costante allenamento per poter essere utilizzata nel modo corretto ed ottimale.
Inoltre, lo scenario in cui questa pratica garantisce i risultati migliori riguarda la memorizzazione di informazioni concatenate, come ad esempio le tappe temporali attraversate durante un periodo storico. La costruzione del “palazzo” per quelle situazioni in cui dobbiamo ricordare molti dati che siano tra di loro slegati potrebbe spostare l’equilibrio tra sforzo e beneficio, richiedendoci infatti un impegno molto grande per un risultato che avremmo potuto ottenere ugualmente con la memorizzazione libera.
Attribuito anche alle straordinarie doti deduttive di Sherlock Holmes, ad oggi questa tecnica è una delle più utilizzate e riconosciute a livello globale dai “campioni della memoria”.