È un dato di fatto. Il nostro Paese ha un grosso problema con la realizzazione delle opere pubbliche. Opere che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero contribuire a rendere più innovativo e accattivante il nostro territorio e, contestualmente, a migliorare la qualità dei servizi offerti alla collettività. In pratica non è sempre così. Accade di frequente, infatti, che le stesse non vengano portate a compimento e che finiscano invece per diventare degli scempi architettonici, cattedrali nel deserto destinate a deturpare l’ambiente e a essere pervase da rovi e rampicanti.
Attraversare da Nord a Sud lo stivale offre la possibilità di imbattersi nella situazione appena descritta.
Un problema a livello nazionale
Stando agli ultimi dati raccolti, elaborati dal “Sistema Informatico di monitoraggio delle opere incompiute” (SIMOI*) istituito presso il Ministero delle infrastrutture e della mobilitò sostenibili, i cosiddetti “incompiuti” – così sono ribattezzati gli scheletri delle strutture mai inaugurate – sono circa 647, distribuiti più o meno equamente lungo l’intera penisola. Ma non è tutto. Se alle opere incompiute si aggiungono anche quelle bloccate, il numero tende ad aumentare e a sfondare il muro delle mille unità. 1040 per l’esattezza. Auditorium, ospedali, viadotti, strade e autostrade, ma anche stadi, piscine e scuola di ogni ordine e grado, sono solo alcuni esempi degli ignobili sprechi costati, a noi tutti, svariati miliardi di risorse pubbliche.
Le motivazioni addotte in proposito sono sempre le stesse, per la maggior parte inconcludenti e difficilmente in grado di giustificare inefficienze dell’apparato statale. Tra le altre: i farraginosi ricorsi amministrativi avanzati dalle imprese magari escluse dalle gare d’appalto, il fallimento delle imprese stesse o l’esaurimento dei fondi originariamente stanziati, i fenomeni corruttivi e i rischi, comprovati, di infiltrazione della criminalità organizzata o, ancora, i progetti obsoleti che, già prima di vedere la luce, risultano già ampiamente superati.
Il cosiddetto “modello Genova”
Il dibattito è tornato in voga in un periodo cruciale per l’Italia, chiamata a ottenere e, si spera, a spendere i fondi europei necessari al rilancio della nostra economia. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il quale riserva proprio alla realizzazione delle opere pubbliche 82,7 miliardi di euro spalmati in 57 progetti, è una sfida irripetibile per rendere più moderno l’attuale sistema infrastrutturale, in un’ottica di semplificazione e di sburocratizzazione.
Tali aspetti, tra l’altro, si sposano a meraviglia con quello che è ormai noto a tutti come “modello Genova”, il sistema da più parti invocato che ha permesso di ricostruire, in appena dieci mesi, il ponte Morandi, tragicamente crollato nell’estate del 2018. Al raggiungimento di questo traguardo hanno contribuito, su tutti, almeno due fattori. La sospensione del Codice degli appalti con la contestuale applicazione di principi e norme di matrice comunitaria e, oltre a ciò, la nomina della figura del commissario straordinario che, concentrando su di sé diversi poteri, ha potuto operare con maggiore celerità e speditezza, evitando così le proverbiali lungaggini procedurali.
Fonti:
– * https://www.serviziocontrattipubblici.it/SPInApp/it/works_unfinished.page (per la consultazione dei vari elenchi regionali);
– https://www.agi.it/cronaca/news/2021-03-16/infrastrutture-incomplete-italia-autostrade-11747831/ ;
– https://www.ilriformista.it/come-funziona-il-modello-genova-per-sbloccare-i-cantieri-90505/ .