Nel 2016 emerge con prepotenza, nel panorama scientifico, il concetto di “organismo sintetico”, basato sul principio del genoma minimo; questo tipo di applicazione, a metà tra l’ingegneria genetica e la biologia molecolare, si prospetta sempre più ricco di potenziale. Ma cosa stanno ad indicare questi termini, e qual è l’applicazione della biologia sintetica?
La terminologia
Per biologia sintetica si intende quella disciplina scientifica che punta, partendo da un organismo naturale, alla ridefinizione dei suoi circuiti genetici e metabolici interni allo scopo di creare un cosiddetto organismo sintetico con caratteristiche potenziate o con nuove abilità, così da sfruttarlo per fini pratici.
L’aggettivo “sintetico”, quindi, non indica un organismo creato dal nulla, ma ciò che si ottiene dalla manipolazione del suo patrimonio genetico originale, che sarà stato sottoposto ad eliminazione ed aggiunta di “materiale”.
Questo tipo di manipolazione ha seguito l’approccio del genoma minimo, ovvero partendo da un organismo completo e arrivando a mantenere solo quei geni senza i quali la cellula non sarebbe vitale o “funzionante”. Da qui, ottenuta l’unità minima di funzionamento cellulare, è stato possibile non solo studiare la funzione di ogni singolo gene aggiuntivo ma anche capire quali sono le interazioni che lo stesso possa avere con altri geni e se la loro aggiunta possa portare ad un potenziamento della funzionalità.
La svolta
La prima cellula definita organismo sintetico, ottenuta circa 5 anni fa e chiamata JCVI-syn3.0 dal team di scienziati che l’ha messa a punto, presentava un’unità genetica minima di 473 geni. Nonostante la cellula con questo corredo genetico risultasse viva e vitale, si riscontravano pesanti aberrazioni nel processo di divisione cellulare, che portava ad ottenere cellule con dimensione e forma diversa dalla cellula di origine, nonostante tra loro avessero il medesimo patrimonio genetico.
Dopo un approfondito lavoro di ricerca, in cui il team ha vagliato diverse combinazioni aggiungendo ed eliminando ulteriori geni al patrimonio minimo, il gruppo di scienziati ha messo a punto JCVI-syn3A, nuova versione della cellula presentante 19 geni ulteriori, di cui 7 rivelatisi indispensabili per una corretta divisione cellulare.
Uno sguardo al futuro
Nonostante il loro ruolo chiave in un processo tanto critico, quale è la divisione cellulare, ancora non è chiara la funzione di questi sette geni, aspetto che è al momento al vaglio del gruppo di ricerca.
L’identificazione del loro meccanismo d’azione e del perché siano fondamentale per la vita cellulare potrebbe portare ad aggiungere tasselli alla conoscenza scientifica sui meccanismi alla base della vita delle cellule, informazioni che potrebbero poi rivelarsi utili per il trattamento di situazioni anomale o patologiche.
Inoltre, grazie all’applicazione della biologia sintetica, si potrebbero programmare cellule “ad hoc”, presentanti un corredo genetico progettato e disegnato per lo svolgimento di compiti specifici, quali ad esempio la produzione di farmaci come gli antibiotici, la capacità di veicolarli e consegnarli selettivamente in alcuni distretti del corpo umano o ancora attività che permettano di bonificare acque e terreni o di produrre carburanti.